sabato 27 ottobre 2012

Ricci/Forte - Dejavù postmoderno, ovvero perchè in Italia stiamo indietro di 10 anni


"Dejavù postmoderno!"
La mia ragazza sgomenta. Sono le 8.32 sul fuso orario del nostro letto.
"Parlo di Imitation of Death dei Ricci/Forte! Ho bisogno del blog...e di un caffè".

Dunque. Il contesto è irretito: Ricci/Forte è considerato fra i vertici del nuovo teatro di ricerca italiano. Roba da pompini in scena, svenimenti in sala, tutti esauriti. Una breve rassegna stampa tratta dal loro sito: "Portiamo in scena la vita di oggi, chi si scandalizza ha dei problemi" dicono loro. "dei Tarantino del teatro, con un gesto più intellettuale e onirico per il racconto" dicono di loro. Roba da citare Ragazzi di vita, Leonardo da Vinci, Spinoza, Platone, e per quest'ultimo lavoro Žižek e Chuck Pahalaniuk (v. libretto di sala).

Un "cioè li devi vedere per forza!" mi perseguita da diversi mesi.
Ieri sera, finalmente, vedo.
E ascolto.
E ascolto l'intervista post-spettacolo.
"Non ci interessa di Baudrillard [...] Non ci interessa di Pahalaniuk [...] a noi interessa gettare la maschera e arrivare al nodo."
Exit Nexus.



Giungiamo dunque al nodo: perché L'Italia dei Ricci/Forte è indietro di 10 anni?

1. Il post-moderno (o come dicevan loro "post-pop")
Da ieri, se qualcuno mi chiede cos'è il post-moderno, io rispondo "Una roba alla Ricci/Forte". Miscela di cultura alta e cultura bassa, cruda esposizione del male, cinicismo autoassolutivo, goliardia citazionista su sottofondo pop. Alt! "Possiamo definirci post-pop" - leggo stamane su ricciforte.com. Mi viene in mente il titolo d'apertura di un saggio di Wu Ming 1 "Postmodernismi da quattro soldi". Il postmoderno, come mentalità di rinculo al moderno, è finito l'11 Settembre del 2001. Continuare ad assumerla come "opposizione" alla società dei consumi e del linguaggio è un segno di sudditanza, non più di emancipazione. "E una volta individuate cose divertenti [o distruttive] che non farai più, non le fai più e basta" (Wm1). Ma con il "post-pop" si va oltre: si cita sul già citato, ci si burla della burla, ci si auto-paracula di continuo: pratiche ben conosciute dal potere. Basta davvero.

2. Dualismi da quattro soldi.
"Ma davvero lei pensa che il dualismo non sia stato un concetto superato? Per tutto il Novecento si è lavorato per superare i dualismi!" - così disse un mio prof., tempo addietro. Da ieri potrò rispondere: "Ah si? Vada a vedere una roba di Ricci/Forte, e poi ne riparliamo". Il processo creativo della compagnia si avvale dell'arte maieutica di tirar fuori le vere emozioni, le vere identità, i veri corpi dei performer coinvolti nella sciarada della vita. In scena si cita il mito della caverna di Platone, mentre si leggono i pensieri indicibili degli spettatori. Prima invece ci si maschera, poi dopo ci si spoglia, infine ci si smaschera. Sigmund Freud: Totem e Tabù. L'Anti-Zizek. Quando si ragionerà sul fatto che dietro alla maschera non c'è il "nodo", l'essenza, bensì l'assenza, il vuoto? Quando si ammetterà che nel contesto esistenziale è l'Essere che inganna, che covando il mito del nostro buono-io-interiore ci siamo macchiati dei più orrendi e disumani crimini? È il caseificio del pianto. Si piange per mostrare che sotto al burlesque c'è "un'umanità che soffre e spera" (questo è Verga). Ma ad esempio Slavoj Žižek dice proprio il contrario: che è il nostro io ad essere l'alieno del nostro corpo (come nel cult di Ridley Scott, quando un piccolo alien esce dallo stomaco del soldato, uccidendolo) e che l'oggetto (topos di Imitation of Death) è lo sguardo stesso, sempre ingannevole e anamorfico, e non un simbolo materiale che "sta per" la nostra essenza (la differenza fra S(a), oggetto di scambio simbolico e a, oggetto causa del desiderio in Jacques Lacan).
Merda mi sto impapocchiando! Ah si, ecco...

3. La morale della non-morale.
Costellandosi di dualismi e post-polpetterie, si ergono muri e sui muri finisce sempre per pisciarci qualche cane. I muri sono evidenti:  
- l'insistere sui temi dello scandalo sessuale ("mi sono fatta inculare da x, ho fatto una sega a y") quando è bene e meglio andare in autobus nell'orario di uscita delle scuole per sentirle di più crude e meno poetiche;
- l'irrisione decadente dell'universo Nerd ("scrivetelo su wazzup!" - "postatelo su Istagram" - "rivedrò i video della GoPro" - o una delle performance finali che allude all'overdose informativa delle timeline), quando esiste un movimento mediattivista italiano che proprio perché svincolato da certi mass-medium, è sconosciuto all'uomo comune;
- la scusa che si tratta di "vere esperienze di vita degli attori", quando sappiamo che è il casting, ovvero la selezione dei protagonisti in base all'aderenza a specifici modelli psico-comportamentali ad essere decisivo in queste operazioni, o in ogni reality che si rispetti ("con gesti più intellettuali" o meno). 
Insomma, "Il medium è il messaggio". Ma dove sta la morale? Sta nell'orizzonte epistemologico schiacciato al presente: con la scusa di creare legami significanti con lo spettatore/attore (citazioni), si annacqua il pensiero critico sulle rive di un eterno presente (quando non ci sarà Wazzup, si citerà qualcos'altro, ma si citerà). Su Wikipedia si chiama recentismo.
Ricci/Forte
è recentista, non indaga il presente, lo enciclopedizza.

4. Hyp, hyp...hypocrisy!
Altra cifra stilistica dei fautori del postmoderno è quella di nascondere o rinnegare le influenze di cultura "alta" sulle proprie opere. È risaputo che Tarantino attinga ai B-movie, che Ammaniti divori videogame e film più che libri e saggi, ed è sentimento comune che ad un certo punto basti "non pensare" (o fregarsene) di certe letture, per raggiungere magicamente un'autonomia operativa. Fin qui nulla di male. Lo stesso Carmelo Bene (homo iper-bibliograficus!) diceva: "Non vi darò le fonti, morirete di sete". Il problema nasce quando dài le fonti (in questo caso Pahalaniuk) e poi le liquidi dicendo "non ci interessano, non c'è niente". Poiché Chuck Pahalaniuk è stato uno dei miei lettori preferiti dell'adolescenza, mi permetto di dissentire. Imitation of Death è Pahalniuk at his purest! (ergo: puramente postmoderno).


Da subito mi ha colpito l'affinità con Cavie (2005), raccolta di racconti spacciata per romanzo, in cui una ventina di scarti della società vengono rinchiusi in un edificio con la scusa di un ritiro per scrittori e iniziano a raccontarsi e sbudellarsi a vicenda, convinti di partecipare ad un survival show. In Imitation of Death ci sono 16 performer rinchiusi in uno spazio scenico che si violentano e raccontano a vicenda sullo stile delle situazioni pahalaniukkiane par exellance: da Fight Club (in Ricci/Forte tornano pensieri di "morte per schianto"), a Stranger than Life (anch'esso bulimica raccolta di racconti presi da storie vere, e quindi "più strane della vita"), a Gang Bang o Soffocare (per tutta la retorica della dipendenza pornografica ecc. ecc.). E sono sicuro che ci siano mille altri debiti non proprio secondari all'opera dello scrittore di Portland. Ad ogni modo Ricci/Forti non sono nuovi a prendere le distanze dai loro maestri. A proposito di Macadamia Nut Britte (2009) dicono: "Non c'è nulla di Dennis Cooper, ma c'è la stessa smania di trovare un senso nell'altro [...]". Siamo sicuri? Non ho mai letto Cooper, ma la strategia retorica (e pubblicitaria) pare la medesima. Quando un autore si ispira ad un altro autore, i debiti sono immensi, e va bene, ma perché far credere il contrario? Perchè millantare il mito del self made artist?

Perchè dopo 10 anni dalla fine del postmoderno, non iniziare a prendersi un po' più sul serio?
"Devajù postmoderno!"

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